I CANDIDI SIMULACRI DI LORENZO PERRONE - Giovanni Serafini, 2011

Denudati di parole, spogliati di figure e di titoli i “non-più-libri” di Lorenzo Perrone vengono tramutati in qualcosa di completamente diverso (“altro” direbbe il critico militante) e presentati in una veste di ritrovata essenzialità quali allusive opere plastiche.

Abbiamo già un caos e una confusione
di libri che vanno oltre ogni misura.
I libri ci opprimono, la lettura ci ferisce gli occhi,
a furia di sfogliare pagine le dita ci fanno male.

Robert Burton Anatomy of Melancholy, 1621

Scompariranno i libri e la carta stampata? E’ la domanda – tralasciando il cimiteriale sconforto di Thomas Bernhard tutto è morto, tutti i libri sono morti e io non respiro che aria morta - che noi inguaribili feticisti di carte impresse e sniffatori di inchiostri ci poniamo con qualche apprensione.
L’avvento della comunicazione telematica e dell’eBook lo farebbero supporre anche se, col diffondersi dei computer, si è verificato un abnorme aumento nel consumo di carta: esattamente il contrario di quanto previsto dai “progrediti” informatici.
Forse per i giovani sarà diverso, ma per noi tradizionalisti sono irrinunciabili il piacere tattile della corposità del libro, la consistenza e l’appeal della copertina, la rilegatura a filo refe, il pregio della carta e dei caratteri di stampa, i margini per le fulminee chiose a matita, la lettura da riprendere al segno e da centellinare giorno dopo giorno fino al terminale affido alla stipata libreria che raccoglie il meglio delle nostre esperienze.
L’inaudita mole di libri pubblicati – pare, oggi, uno ogni 64 secondi - determina un tipo di apprensione contraria, che si vadano cioè sconsideratamente distruggendo foreste - oltre a quelle già divorate dalla odiosa follia dei burocrati, autentica peste - per la smodata vanità di quella nociva massa di vanesi che si ritengono tutti poeti e scrittori di vaglia.
Sebastian Brant già nel 1494 (!) parla di “libri inutili” nel suo La nave dei buffoni, denunciando l’albagia di chi compra libri solo per il gusto di possederli e di esibirli, senza leggerli o senza riuscire a capirci granchè. Succede anche oggi, anche per la bulimia bibliofila che ci fa acquistare più libri di quanti si riesca a leggerne.
Lorenzo Perrone, riflessivo ed eclettico artista con una solida esperienza maturata nel campo della comunicazione - complice e soave musa Simona Vanzetto - ha in parte ovviato a tali interrogativi, precorrendo i tempi del macero di una pletora di opere irrilevanti, con la sua ingegnosa iniziativa di ricavare “sculture” da volumi completamente bianchi, anzi sbiancati e poi rassodati con un processo di sua invenzione, capace di restituire loro una verginità dotata di un’inedita forza espressiva, privandoli della loro funzione primaria ma attribuendo loro nuovi, pregnanti significati.
Denudati di parole, spogliati di figure e di titoli i “non-più-libri” di Lorenzo Perrone vengono tramutati in qualcosa di completamente diverso (“altro” direbbe il critico militante) e presentati in una veste di ritrovata essenzialità quali allusive opere plastiche.
Lievi opere a tuttotondo ottenute quindi da libri scoperti come singolare materia prima, pallide anime alleggerite della plumbea zavorra del loro verboso e mai innocente corredo di formule, proclami, racconti, poesie, pensieri, saggi, teorie, programmatiche menzogne, ideali, eresie, determinati dai sempiterni – in quanto irrisolvibili - problemi degli umani.
Lorenzo Perrone trasfigura, con fine artistico-didascalico, volumi di ogni specie e dimensione in candide effigi scultoree, conferendo loro consistenza di simbolo o di metafora nel richiamare importanti avvenimenti e concetti fondamentali, espressi con sorprendente inventiva. Solo in Totem 150 Perrone si astiene dal rendere “muti” i libri utilizzati, eccellente realizzazione esposta ad ArteLibri a Bologna nel settembre 2011 per il centocinquantesimo anniversario dell’Unità d’Italia, longilinea stalagmite composta da una selezionata teoria di testi sovrapposti, summa della cultura italiana preminente.
La cancellazione di un testo stampato – troppo spesso tardiva resipiscenza di saggezza - si trasforma con Perrone in solido stereotipo, in fantasiosa simbiosi di simulacro e di memoria.
Così un volume spalancato si fa mare aperto e le sue pagine marosi ove arranca malsicuro un naviglio (La mer); un testo a pagine dispiegate evoca il gonfiore arioso di una fisarmonica nell’effusione di un motivo malinconico (Bandoneon); una sovrapposizione digradante di volumi avvalora Discendenze, sorta di albero genealogico del sapere e dell’esperienza umana ove tutto si tiene contrastandosi.
O ancora i resti di un testo squinternato, con pagine grossolanamente strappate, ci riporta ai Desaparecidos di ogni dittatura; mentre un tomo inchiavardato da una grossa catena e da un chiavaccio mette alla berlina i grotteschi soprusi di qualsiasi censura (Proibito).
La ferita profonda e feroce di una critica spietata dilania una inerme pubblicazione fresca di stampa con la rozzezza di un forbicione da lamiera (Stroncato); in Maternità un libro rappresenta con inevitabile impudicizia lo spasmo del parto dalla cui dilatata cavità si affaccia un librino nascente e Mater ne figura la dedizione totale in cui l’amoroso libro-madre contiene in protettivo abbraccio l’infante-libro generato.
E se un arruffato Grecale non può che sconvolgere con raffiche beffarde pagine impennate e scomposte, Il vento è cambiato solleva e porta con sé un soffio di rinnovate speranze, fino alla prossima, puntuale ennesima disillusione. Dura e incisiva la disumanità di Lapidazione ove una pietra spigolosa minacciosamente poggiata sulle pagine di un libro (sacro?) richiama brutalità di anacronistica barbarie.
Il tragico volume crivellato da proiettili grida la sua denuncia per l’omicidio di Anna P. (Anna Politovskaja), l’ardimentosa giornalista assassinata in Russia; in Crocifissione chiodi spropositati trafiggono le pagine di un libro come un Cristo in croce, rammentandoci che anche noi in fondo siamo dei “poveri cristi” inchiodati alle nostre vite miserande, destinati alla morte.
Le opere di Perrone, proposte con iniziale pudore, sono state accolte con inaspettato favore e richieste da un sempre più ampio circuito espositivo, ottenendo premi e riconoscimenti dapprima in collettive a tema, poi in mostre personali, conquistando il consenso di un pubblico eterogeneo attratto dall’originale metodica espressiva e dalla fresca spontaneità dei suoi lavori, riuscendo a suscitare sia l’interesse dei bibliofili che dei tradizionali collezionisti d’arte.
“I libri – osserva Barbara Tuchman – sono l’umanità stampata”. Deve essere per questo che gran parte di essi appaiono noiosi, scontati, stucchevoli.
Un’ulteriore ragione di riconoscenza dobbiamo dunque a Lorenzo Perrone che con le sue alchimie trasformiste e la sua poetica allusività riesce a riscattarne il ruolo mediocre per farne spunti di riflessione sulle follie degli umani, per farci indignare, per rallegrarci, talvolta, con le sue ironiche, argute allusioni.