LIBRI BIANCHI DI LORENZO PERRONE - Andrea Kerbaker, 2008

E’ un risultato notevole, tutto sommato curioso, perché a prima vista l’artista lavora con un procedimento a contrario. Prende i libri, li spoglia di tutto il contenuto, li rende oggetti apparentemente anonimi.

Da tanti anni vado raccogliendo nel mio studio oggetti che riguardano il mondo del libro. Come tutte le collezioni, anche la mia è un po’ insensata, soprattutto perché priva di barriere all’ingresso: per farne parte, basta essere apparentati in qualsiasi modo, anche alla lontana, all’universo librario. Conseguentemente, gli oggetti sono della più totale diversità. Ce ne sono di belli, bellissimi, e di brutti, al limite del kitsch; alcuni hanno valori anche ingenti, altri non li si venderebbe al più scrauso robivecchi di Porta Portese; quelli originali, in un solo esemplare, tra i quali numerose opere d’arte, stanno fieramente al fianco di quelli dozzinali, reperiti nei negozi di gadget a poco prezzo tra mille chincaglierie. Tutti insieme, appassionatamente, a testimoniare l’infinita varietà del mondo del libro nella nostra umanità che legge pochissimo, quando lo fa.
Era naturale che in questa babele libresca giungesse prima o poi anche Lorenzo Perrone. È avvenuto di recente, per via di un’amica che ha favorito l’incontro. “C’è un signore che nella vita ha fatto tanti lavori, e da qualche anno fa anche lo scultore, tutto concentrato sui libri. Dovresti conoscerlo”. Detto, fatto: eccoci nella sua casa studio in quel di corso Garibaldi. Perrone apre la porta, un po’ timido. Ci eravamo conosciuti, tante vite e tanti mestieri fa, ma era stato un incrocio rapido, di quelli che non lasciano tracce profonde. E così ci guardiamo e studiamo con le riservatezze che spesso caratterizzano i primi incontri. Dura pochissimo: fino a che non compaiono i libri; allora, subito, scatta la comunanza di amorosi sensi. Immediata, senza riserve: perché, con questa sua fila di libri bianchi, il neo scultore mostra di aver colto l’essenza del libro assai meglio di mille oggetti presenti nel mio studio.
È un risultato notevole, tutto sommato curioso, perché a prima vista l’artista lavora con un procedimento a contrario. Prende i libri, li spoglia di tutto il contenuto, li rende oggetti apparentemente anonimi. Per di più, per farlo usa una serie di nemici patologici del libro: anime di metallo, vinavil, gesso, vernice bianca. Con questi strumenti, infierisce selvaggiamente sulle loro povere parole, fino a cancellarle in toto. Non basta: quando già li ha ridotti a un ammasso senza significato, ancora insoddisfatto, usa contro di loro anche il nemico pubblico numero uno: l’acqua, per bagnarli un’ultima volta. Per un libro, qualsiasi libro, è una vera tortura, anche lunga: l’intero processo non richiede mai meno di 15 giorni.